Raccontare bugie significa solitamente volersi nascondere da qualcosa o da qualcuno, cercare di preservare la propria incolumità negando spesso un’evidenza scontata, una verità che, per gioco o no, non si vuole accettare come tale. Quante volte mi è capitato di rifiutare uno scontro o semplicemente di dare una spiegazione volendo in quel momento poter scomparire recitando la piccola ricetta magica “non ci sono più” e… puff! Svanire nel nulla. Troppo facile. Eppure anche quando non si è più bambini lo si vorrebbe fare, così sarebbe tutto più semplicemente aggirabile.
GLI ASINI NON VOLANO
Uno scroscio d’acqua si riversa sulla testa di Andrea, ma lui
imperterrito è pronto a dire “non mi bagno”; Valentina si nasconde dietro
un’ingombrante sedia bisbigliando la frase “non ci sono”; Vezio si sottrae con la sua giacchetta blu all’incontro con un
gruppo di uccelli pensando “non siete miei amici”. Sono bambini che desiderano
comunicare più che un messaggio una decisione, una presa di posizione quelli
che Armida Gandini rende protagonisti dei suoi lavori. Sempre presenti come
personaggi principali, non sono simpatici pargoletti che possano intenerire un
pubblico facile al sentimentalismo e alla nostalgia per l’infanzia. Sono
piccoli protagonisti che hanno già sviluppato un proprio modo di pensare e di
porsi di fronte al mondo, pronti a far vedere chi sono, a voler avere la
possibilità di decidere. Infatti Gandini sceglie di rappresentare un’età,
quella pre – adolescenziale, intesa come momento di crescita, di passaggio,
in cui la persona comincia a sviluppare la propria individualità e a capire
cosa significano indipendenza e autonomia. Per questo la maggior parte delle
volte ci troviamo di fronte a personaggi soli, calati in contesti che, se in un
primo tempo erano il bosco delle fiabe o il labirinto, simboli delle difficoltà
che si incontrano nella vita e della scelta, ora sono luoghi vuoti, privi di
una reale connotazione, dove la matita nera dell’artista disegna ambienti
irreali, direi surreali. Sfondi metaforici che evocano lo strato più profondo,
il pensiero, l’immaginario, realizzati con una calligrafia spoglia, ma nello stesso tempo raffinata,
lineare, ma contemporaneamente spiazzante, lontana dalle formule più frequenti
del disegno contemporaneo. Sono i luoghi mentali che dialogano con le azioni
dei protagonisti, sottolineando che si tratta più di movimenti emotivi che
fisici, perché tutto avviene nella loro testa o nella loro pancia.
Ma a chi appartengono le fotografie imprigionate nei box di Armida? Chi sono realmente questi bambini? “Le immagini sono tratte sfogliando gli album di famiglia (a partire da quelli personali), un modo di rendere pubblico il privato allargandolo. Fotografie che erano destinate alla sola visione familiare così diventano immagini di una memoria collettiva, come se si aprissero delle porte su dei mondi interiori” spiega l’artista. Sfogliando gli album Armida si è resa conto di quanto in fondo gli scatti si assomigliano, perché esistono degli episodi, delle azioni, dei gesti comuni che appartengono a tutti e che vengono immortalate dalla macchina fotografica nel corso degli anni. Sono le esperienze che attraversiamo nella vita e che incidono sulla definizione della nostra identità; sono gli incontri, le relazioni che abbiamo instaurato, le situazioni che ci hanno commosso. Ma queste immagini private, che rappresentano il vissuto soggettivo, vengono trasferite in una dimensione più generale mediante l’ulteriore sovrapposizione di un breve frammento di testo, che svincola la memoria da una stretta autobiografia, da un quotidiano ordinario e indifferenziato.
Nei lavori precedenti, come nella serie I luoghi della memoria le parole sovrimpresse erano estrapolate da fiabe e all’interno dell’opera campeggiavano frasi quali Cappuccetto Rosso e il lupo, Pinocchio prima di incontrare Lucignolo, Alice nel labirinto. Stralci che così riportati divenivano enigmatici, non fornendoci una chiave interpretativa del lavoro, ma solo uno spunto di riflessione. Nei lavori più recenti i brevi periodi declinati rigorosamente al presente non cambiano nella forma, ma assumono un tono imperativo, di negazione, di non accettazione: Non gioco più, Non sono una Signora, Non ci casco. Sono espressioni di dissenso legate alla situazione evocata nell’opera, i personaggi si ribellano a ciò che è convenzione, che spesso diviene sinonimo di conformismo, di ovvietà. Un negarsi qui rappresentato nella maniera goffa e giocosa dei gesti tipici dei bambini, ma che va ben oltre nella riflessione di Gandini, perché quello che i protagonisti difendono è il loro spazio, il loro pensiero. Negano qualcosa per affermare se stessi. E l’unica maniera per tutelarsi è quella di inventarsi delle gabbie, delle scatole rassicuranti, ma anche auto ingannevoli. E’ quella di bendarsi gli occhi e tapparsi le orecchie, ostinarsi a non sentire e non vedere, arrivando a negare l’evidenza.
Non sappiamo se Valentina e Vezio riusciranno a non spaccarsi la testa sbattendo contro i muri della vita. Andrea si è già bagnato.
Valentina Costa, Gli asini non volano, testo critico in catalogo in occasione della mostra presso Fabio Paris artgallery, 2003
When we tell lies we usually want to hide ourselves from something or someone, or we are trying to keep us safe by often denying a foregone evidence, a truth that – for fun or not – we do not want to accept as it is. How many times has it happened to me to refuse a confrontation or simply to give an explanation while I desired I could disappear acting my little spell “here no more” and … puff! To melt away. Too easy. But even when we are no longer children we wish we could, so that everything would be easily bypassed.
DONKEYS CAN’T FLY
A water flurry pours over Andrea’s head, but he is undauntedly ready to say “I don’t get wet”; Valentina hides behind a bulky chair whispering the sentence “here I’m not”; a blue jacketed Vezio escapes a match with a covey of birds thinking by himself “you are not my friends”. The children, Armida Gandini makes heroes in her works, are children that desire to communicate a decision more than a message. Those acting as main characters aren’t nice little toddlers that can move a public prone to sentiment or longing for childhood. They are little heroes that have already developed their own way of thinking and of standing face to face with the world. They are ready to show who they are. They are willing to have the possibility of making up their own mind. As a matter of fact, Gandini chooses to depict pre-adolescent age conceived as that stage of growing and of transition during which a person begins to develop its own individuality and starts to understand what do independence and autonomy mean. This is why we are mostly given to meet lonely characters, situated within frameworks that at the beginning were the fairy tales’ wood or the labyrinth – standing for the troubles of life and for the choice itself; and that nowadays are empty places devoid of a true connotation. Here the artist’s black pencil draws unreal – or better, I would say, surreal environments. Those metaphorical backgrounds evoke the deepest layer, the thought and the imaging and are carried out by means of a handwriting which is at the same time naked but refined, coherent but puzzling – far from the most frequent formulas to be found in the contemporary drawings. These are the mental places that exist in relationship with the heroes’ actions; which underline that emotional – more than physical – movements are to be shown us, as everything is happening in the characters’ brain or belly.
But whose photos are those confined in Armida’s boxes ? Who really are those children? “The pictures come from family photograph records (starting from my personal ones), a way of making public what is private by widening it. Pictures that were intended for familiar display only, thus become images from a collective memory, as if doors opened over inner worlds” the artist explains. While she was skimming the albums, Armida realized how much those snapshot were alike, after all. This comes from the fact that there are events, actions and ordinary gestures that pertain to everyone and that are commonly granted eternal life by a camera in the course of the years. Such are the experiences we go through in our lives and that affect our identity definition; such are the encounters, the relationships we established, and the situations that moved us.But these private images – representing the subjective living, are relocated into a more general dimension by means of a further superimposition of a brief text fragment, which disentangles the memory from a precise autobiographical reference, from an ordinary and undifferentiated everyday record.In previous works, such as the series “Places of the Memory”, the superimposed words came from fairy tales. In the works stood out sentences like Little Red Riding-Hood and the Wolf, Pinocchio before he met Lucignolo, Alice into the labyrinth: excerpts that, quoted in that way, became puzzling, as far as they didn’t give us any clue to interpret the work, but a hint for our meditation. In her more recent works the short sentences – rigidly in the present tense – do not change formally, but assume an imperative strain of refusal or of unacceptance: I no longer play, I’m not a Lady, You can’t deceive me. Those are sentences expressing disagreement and linked with the events the work evocates. The characters rebel to what is conventional – often an equivalent of what is conformist or obvious. The refusal is here represented in the clumsy and playful way of typical childish gestures. In Gandini’s consideration it goes even further on, as what the heroes defend is their own space and thought. They deny something to assert themselves. And the only way of warding themselves is to create their own cages, their reassuring – but also self-tricking, boxes; it is that of blindfolding and ear plugging: of insisting not to hear and not to see so as to arrive to refuse what is obvious.
We do not know if Valentina and Vezio will manage not to cut their head open by knocking against the life walls. Andrea has already wetted.
Valentina Costa, Donkeys can’t fly, critical text, catalogue, 2003